Articolo tratto da Inside Marketing – 14 maggio 2017
Verificare le notizie è essenziale per evitare il diffondersi di bufale e notizie false. Ecco i principali strumenti per il fact-checking.
Se sembra troppo bello per essere vero, probabilmente non lo è. Con riferimento alle notizie, mette in guardia da tutti quei fatti che ogni giorno raggiungono newsroom e giornalisti e che però non possono (e non devono) essere considerati notizie.
Se c’è una minaccia alla credibilità dell’informazione digitale, infatti, si tratta delle bufale. Il mito della velocità e dell’aggiornamento continuo, la necessità di competere con i social e gli altri ambienti digitali dove le notizie corrono istantaneamente spesso inducono chi si occupa d’informazione a cadere nella trappola di notizie non verificate, false o confezionate ad hoc in una logica “acchiappa like”.
La vera soluzione? Riscoprire i tempi di un giornalismo “slow”, che punti alla qualità più che alla quantità di notizie e all’aggiornamento continuo e, nel frattempo, preoccuparsi di diffondere una cultura del fact-checking, letteralmente della verifica delle notizie.
UN MANIFESTO DEL FACT-CHECKING
Per farlo non bastano le iniziative isolate. Per questo il giornalismo, d’oltreoceano soprattutto, si è già inventato community contro le bufale all’interno delle quali i professionisti dell’informazione possono scambiarsi best practice e puntare all’alfabetizzazione dei lettori, affinché siano i primi stakeholder di un giornalismo di qualità. Più recentemente, alcuni dei maggiori soggetti internazionali che operano nel campo dell’informazione hanno firmato un “manifesto” del fact-checking che ha come obiettivo quello di promuovere le eccellenze in materia di verifica delle fonti.
QUALI STRUMENTI PER IL FACT-CHECKING?
Per difendere la credibilità dell’informazione ci sono diverse pratiche e tool che chi si occupa d’informazione può e deve utilizzare per non incappare nel pericolo bufale o notizie non verificate e non verificabili. Si tratta di strumenti utilissimi soprattutto quando ci si trova ad affrontare e gestire una crisi.
CURARE LE FONTI
Il primo passo per un fact-checking efficace, infatti, è il controllo delle fonti. Nel gioco di rimbalzi, condivisioni, passaparola tipico degli ambienti digitali può essere particolarmente difficile risalire alla fonte originale di una notizia. Le rivoluzioni nel Medio Oriente, meglio conosciute come Primavera Araba, hanno fatto scuola e sono state il banco di prova per il citizen journalism. In quell’occasione i giornalisti “tradizionali” si trovarono più volte a dover verificare l’attendibilità di fonti che si proclamavano direttamente coinvolte nelle rivolte. Già da allora si dimostrò essenziale, così, quello che fu indicato come un approccio “networked” al giornalismo: di fronte all’abbondanza di informazioni che arrivano alle redazioni da fonti non tradizionali, il giornalista non può che lavorare “facendo rete” con le proprie. Significa selezionare alcuni utenti che si mostrano più attendibili di altri, preparare liste (soprattutto su Twitter e altri social network) di contatti da seguire per restare aggiornati sulla situazione, entrare in contatto con soggetti privilegiati (freelance, fotografi, videoreporter, operatori umanitari, etc.) che operano nella zona e che potrebbero fornire materiale di prima mano.
GLI STRUMENTI DIGITALI A PROVA DI FACT-CHECKING
Non possono essere ignorati i numerosi strumenti d’ausilio al fact-checking offerti dalla tecnologia e dagli ambienti digitali: si va dai badge blu che contraddistinguono sui social i profili ufficiali di giornalisti, politici, personaggi pubblici alle diverse piattaforme che permettono di ricavare qualche informazione in più sui contenuti multimediali. Il giornalismo digitale deve gestire, infatti, una grande quantità di user generated content che arrivano nelle newsroom e che costituiscono spesso l’unico apparato multimediale disponibile per quella notizia. Come fare a stabilire, allora, la veridicità di una foto o di un video? Si può partire, per esempio, dall’analizzare i meta-dati eventualmente disponibili e che dicono qualcosa su quando e come sono stati scattati o girati, anche se la maggior parte dei social cancella questa tipologia di dati; si può usare la ricerca inversa, tramite immagini di Google Image, per verificare che quella stessa foto o un fotogramma del video non siano stati già pubblicati in precedenza e possano non riferirsi, quindi, all’evento in atto; si possono usare servizi come Google Maps o Wikimapia per confrontare alcuni dettagli urbani e paesaggistici, in modo da capire se foto o video siano stati realizzati realmente nel posto in questione.
AFFIDARSI ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE…
Qualcuno ha provato a costruire, addirittura, algoritmi che aiutino giornalisti e professionisti dell’informazione a valutare l’attendibilità dei post sui social. Ci sarebbero, infatti, elementi ricorrenti nei tweet o negli aggiornamenti Facebook che riportano bufale, notizie false o non verificate. Sono elementi sintattici come grossolani errori grammaticali (che potrebbero essere, per esempio, spia dell’uso di traduttori online), uno smodato uso dei pronomi o della punteggiatura o, persino, delle emoticon.
…O A QUELLA COLLETTIVA
Chi non voglia affidarsi all’intelligenza artificiale, però, può sempre affidarsi all’intelligenza collettiva. Gli ambienti digitali, infatti, renderebbero più facile il fact-checking anche per la possibilità di affidarsi al crowd-sourcing: un giornalista che debba verificare una notizia, in altre parole, può fare affidamento alla “folla”, partendo dal presupposto che la coda lunga della Rete permette di trovare facilmente l’esperto di qualsiasi materia.
UNA SENSIBILITÀ NUOVA PER IL FACT-CHECKING?
Non si possono non segnalare, infine, i passi avanti nella direzione del fact-checking condotti anche dai giganti dell’informazione 2.0. È stato creato per esempio il Facebook Journalism Project con l’intento di agire sia sul fronte dei professionisti dell’informazione sia su quello dei lettori per una maggiore sensibilizzazione rispetto all’importanza di condividere solo notizie verificate e alle responsabilità anche giuridiche che derivano dalla diffusione volontaria di bufale.
Ad aprile 2017 è arrivata, poi, la conferma dell’impegno di Google contro le fake news. Dopo vari annunci che sottolineavano la volontà di penalizzare con l’algoritmo i siti che pubblicassero notizie false o non verificate, Big G ha introdotto infatti, sia nella sezione News che per i comuni risultati di ricerca, e in tutte le lingue, l’etichetta “Fact Check” con cui vengono segnalate le notizie che rispettano i più comuni criteri di verifica delle fonti o che provengono da siti e domini segnalati come attendibili.
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