Lo storytelling è ormai una pratica tanto diffusa quanto indispensabile nel content marketing.
Le narrazioni, però, possono svilupparsi attraverso diverse direttrici e assumere forme differenti in base ai media su cui si svolgono.
Una interessante dinamica, in questo senso, è quella della narrazione transmediale: Henry Jenkins l’ha definita nel 2006 nel suo libro Cultura convergente come una forma narrativa che, muovendosi attraverso diversi tipi di media, contribuisce a perfezionare ed integrare l’esperienza dell’utente con nuove e distinte informazioni.
In sostanza la narrazione transmediale differisce da quella crossmediale perché non si limita a declinare in formati diversi uno stesso messaggio o contenuto, ma costruisce una narrazione da diversi punti di vista, uno per ogni media coinvolto.
Ad esempio posso raccontare un brand facendo parlare i suoi fondatori su Facebook, mostrando le immagini dei suoi prodotti su Instagram e parlando dei suoi valori ispiratori in un corporate blog.
Fare storytelling, dunque, non è più narrare una singola storia declinata attraverso vari canali, ma moltiplicare i luoghi e le modalità del racconto che si divide in diverse direttrici, moltiplicandosi ma riportando sempre e comunque ad un unico punto convergente.