Si tratta di un caso balzato agli onori delle cronache non più di due settimane fa, ma già sembra passato un anno. Un fenomeno che è durato giusto il tempo di rovinare la vita a una persona e alla sua famiglia, per poi essere dimenticato. Per chi non ne avesse sentito parlare, o se ne fosse già dimenticato, ecco qui la storia. In breve: un contest interno di Intesa Sanpaolo invitava le filiali a produrre dei video “divertenti”, che li rappresentassero.
Per motivi ancora da chiarire, ma sostanzialmente attribuibili alle bassezze del genere umano, facilitate dal digitale (come anche le altezze, che oggi come ieri sono ahimè meno comuni), il video, involontariamente comico, è divenuto di dominio pubblico, con relativa gogna social per la malcapitata protagonista. Su questo fenomeno, Selvaggia Lucarelli ha scritto un post che mi sento di condividere:
Sul fronte della riflessione centrata sulle motivazioni “aziendali” di iniziative del genere, e sulla cultura corporate che le ha prodotte, ha scritto molto bene Enrico Sola nel suo blog su Il Post
Servono aziende più serie. Non nel senso di aziende che pubblichino meno balletti ridicoli con sorrisi finti da nuoto sincronizzato, ma aziende che capiscano che la “militanza affettiva” dei propri impiegati passa attraverso fatti concreti, non proclami sterili, cori da stadio e fuffa da convention.
E conclude:
Il vero danno d’immagine per uno dei principali istituti bancari nazionali è questo: il top management fa fare ai suoi dipendenti un’attività imbarazzante, non li difende dall’esposizione pubblica e, a danno fatto, non concepisce nemmeno da lontano l’opportunità di dire “forse abbiamo avuto un’idea stupida e pericolosa e non abbiamo capito come funziona Internet”, e in ultimo avvia un’inutile caccia alle streghe contro la “spia” interna”.
Osservazione personale: dato la memoria cortissima degli utenti dei social (cioè di quasi tutti noi), anche questi danni di immagine si rivelano per queste aziende del tutto temporanei. Vorrei sapere quante delle persone che hanno riso su quel video sono a conoscenza o ricordano di quale banca si tratti (ve lo ricordo io: Banca Intesa Sanpaolo).
Su questo tema aveva scritto il mio amico Luca Villani di The Van, e in tempi non sospetti: giugno 2016. Il titolo era provocatorio: La comunicazione interna? Non esiste. Scriveva Luca:
Sul piano culturale, il mondo è cambiato: i social media hanno messo fine al concetto stesso di privacy, a dispetto di ogni legge che ci obbliga a procedure inutili e fastidiose per “accettare i cookies”. Certo, i collaboratori restano un target privilegiato: ma sono parte di un target più ampio, fatto di cerchi concentrici i cui confini non sono mai netti.
Ne sa qualcosa Luca Luciani, che nel 2008, Direttore Generale di Telecom/TIM, fu travolto da una bufera mediatica perché in un suo discorso ai venditori, tra iperboli e sgrammaticature, aveva asserito che Napoleone (anzi, “NapoleTone”) avesse vinto a Waterloo.
Il filmato finì su YouTube e la sua stella si offuscò. (Ma non vi preoccupate per lui: come vedete qui, l’uomo è di quelli che cadono sempre in piedi).
Sul caso della filiale di Banca Intesa Sanpaolo di Castiglione delle Stiviere, personalmente vorrei soffermarmi su un tema forse minore, e magari specialistico, ma per me, addetto ai lavori, profondamente irritante. Premetto: promuovere la produzione di contenuti creativi da parte degli impiegati non è di per sé un’idea sbagliata, tutt’altro. Il titolo di uno dei corsi di formazione che tengo per The Vortex è: Essere creativi. Dopo un’intera giornata di workshop, i partecipanti arrivano a scoprire che tutti loro possono essere creativi, a patto di capire cos’è davvero la creatività e attivare alcune facoltà che non ritenevano di possedere. Per fare questo occorre metodo e impegno. Ecco: promuovere la creatività dei dipendenti è un obiettivo meritorio, ma richiede progettualità, tempi e risorse. E per mie esperienza personale, raramente le aziende italiane le mettono in campo per obiettivi del genere.
Ma c’è un aspetto per me particolarmente irritante: dietro queste iniziative c’è in fondo l’idea che basti uno smartphone e un quarto d’ora di tempo per produrre qualcosa di gradevole. È un’idea profondamente ingenua e sbagliata. Attori e videomaker non ci si improvvisa. Non per questo occorre acquisire all’esterno video professionali o rinunciare. Imparare alcuni trucchi per ottenere buoni risultati (ad esempio questi) è più facile di quello che sembra. Ma occorre un progetto di lungo periodo, dei project leader, una piattaforma tecnica condivisa, e un po’ di formazione. Niente di trascendentale o di costoso. In cambio, un’operazione così congegnata coinvolge veramente i dipendenti, dà loro qualcosa di importante (nuove esperienze, nuove conoscenze, nuove sicurezze) e produce materiale di qualità infinitamente superiore. Che se trapela all’esterno, dà veramente l’idea di un’azienda davvero coesa e creativa.